Sunday, February 17, 2013

Vivere tra i ruderi


Vivere tra i ruderi

Ogni ritorno e un inizio, quando il presente si miscola con il passato. Un stuzzicante apperitivo di frantumi di memoria. Cosi nel mese di Settembre mi sono ritrovato di fronte alla mia casa nativa di Collarmele. Erano trascorsi quattordici anni dall’ultima visita. Il paese poco cambiato eccetto che in questo caso la casa era vuota, sparsa con pochi residui mobili, non accogliente come quando abitata da zia Maddalena. L’odore di cibo rimpiazzato con quello del cesso, claustrofobico nel buio cavernoso nascosto al sole. Non riuscivo a starci dentro, solo dopo alcuni giorni di finestre spalancate al vento sono rientrato nel presente vuoto. Non ero piu un’abitante del paese ma un visitatore, non proprio turista ma nemmeno piu del posto. Infatti la mia dimora per il soggiorno era a Pescina e i due paesi si mescolavano l’uno nell’altro. I racconti di Silone alquanto vivi come le proprie memorie. E nel paese di Mazzarino un ricordo di Parigi. Era l’anno 1975 e mi trovavo di fronte alla tomba di Mazarine all’Institut de France spiegando al  mio amico incredule, Rene, che il famoso cardinale in fatti era di origine Abbruzzese da un paese molto vicino al mio.

Lo scopo di questo viaggio era di conoscere meglio l’Abruzzo. Nel mio soggiorno da studente a Firenze ero molto piu preoccupato a visitare le grandi citta europee, Londra, Amsterdam, Parigi, Brussel, Vienna, Zurigo, Berlino, Monaco, e tante altre. Ero ghiotto di arte e fanatico di vedere i musei piu prestigiosi. Ma tutto questo mi ha lasciato un vuoto della propria regione. Due settimane di rapide escursioni troppo breve per un approfondito apprezzamento ma nell’insieme molto soddisfacente nel creare un’immagine ampia regionale. L’Abruzzo si e presentato un’insieme di antichi borghi sparsi in un verde roccioso e in gran parte selvatico. Molto diverso dalla Toscana, l’altra regione da me ben conosciuta, piu rustico e rozzo ma anche piu genuino, non inquinato dal turismo mondiale. L’unico rammarico e di non avere avuto tempo per visitare tanti paesi nella mia lista. Mia moglie Susanna ed io abbiamo con rancore deciso di non visitare L’Aquila, preferendo di mantenere le memorie di una citta sana non distrutta dal terremoto, era uno dei posti piu favorito da noi due.

L’ultima settimana del soggiorno ho cercato di recuperare la mia identita di Collarmelese. Quest’impresa non riuscita bene creando un misto di emozioni. Ho trovato un paese in declino, politicamente diviso e in gran parte vuoto. Ho trascorso le giornate in compagnia di pochi amici e tanta nostalgia. In parte deluso che il mio lavoro del 1998 che proponeva al paese un piano di recupero ambientale non e stato preso in considerazione ma di piu nel vedere lo stupro di terreno per fare posto a impianti fotovoltaici. Tutto questo poteva essere stato svolto in un modo migliore e molto piu democratico rispettando ogni cittadino. Invece e stato effettuato in un modo dove pochi hanno guadagnato molto, senza un vero resoconto di azione ambientalistica; non solo nel mio paese ma un programma sparso per tutto il Fucino. I fertili terreni sotto attacco da uno sviluppo immobiliare cieco alle necessita ambientaliste del nostro tempo. Era ovvio che il vero discorso ecologico era caduto solo nel discorso di produzione energetica. Tutti gli altri fattori ambientali gettati via. Mi domando se questo e un caso di mancanza di culturazione verso l’ambiente o un risultato di un mercato spietato che continua la marcia distruttiva mentre recitando una falsa retorica del verde.

A parte queste delusioni, l’identita che ho cercato in vano per le strade del paese l’ho trovata nei sentieri antenati – nomadi percorsi montani dove ossee rocce formano lo scheletro terrestre. Dove nelle loro tasche arsite, scolpite dal vento e pioggie stagionali, si rifugiano minuscoli giardini incantevoli. Un’arrangiamento ecologico evoluto nella scia di mattanze millenarie, rasate da musi greggi e qualche mano umana.

Fiori di croco, menta, saponaria, silene, delfinum, sedum, stenbergia, salvia, di minuscule felce, cuscini di muschio, ondate monti di colorite lichene e spinosi gruppi di cardi fra tanta altra flora. Il volo erratico di farfalle e falene, corse a scatto di lucertole, salti di grilli e qualche furtiva mantide appesa tra le erbe autunnali. Rucelle, pignoli, visce alcuni dei funghi commestibili fin’ora scampati dagli occhi radar che perquisiscono queste colline. Viste in panorama presentano un manto unico quasi monotono, eppure la sottile variante vita accoglie il mio sguardo, le mie domande, i miei ricordi. Questa e la mia terra dove la mia anima si stende in riposo. Mi piacerebbe fare un album botanico che include tutte le stagioni, recintare un’area per scoprire cosa crescera se protetta dal pascolare. Nel 1998 Susanna e io abbiamo trovato solo una stenbergia dove questa volta c’erano piu di una dozzina, forse segno di un’alleggerire dei greggi in questa zona. Magari piantare quercie e faggi nel mezzo dei coniferi per iniziare un bosco piu variante. Bilanciare le piantagioni di noci e tartufaie regimentate a diritte file a modello agroforestale con delle zone di vera restaurazione ecologica. Ma tutto questo e solo un’espressione di desideri, come nella canzone di Domenico Modugno, “la lontananza e come il vento” che fa dimenticare quello che a un momento della nostra vita si ama. Quello che ci rimane sono i ruderi della nostra memoria e se siamo fortunati possiamo ogni tanto rivisitare i nostri passi,passaggi.

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