Sunday, February 24, 2013

Soledarieta Volute


Vivere tra i Ruderi-3 – Soledarieta Volute

Il mio soggiorno nel mio paese nativo di Collarmele negli Abruzzi inizio il giorno della festa della Mercedes. Questa festa e particolarmente legata al mio passato datosi che mio padre era membro della fraternita. In una giornata di sole la processione sfilo in un percorso simile a quello che ricordavo da bambino, passando di fronte alla mia casa nativa. Molti paesani partecipavano alla processione ed altri, forse non-credenti, affollavano la strada ora denominata SS5, alcuni seduti di fronte ai caffe.

L’ultimo giorno invece cera un’altra processione, questa triste, del funerale di un paesano morto dal cancro. Di nuovo la popolazione affollo la piazza centrale in rispetto del defunto. Per me e stata un’esperienza emozionante anche se non conoscevo piu i membri della famiglia. Mi e piaciuto che la maggior parte del paese era li per l’ultimo saluto, ma anche perche mi dimonstrava che dopotutto anche quando ci sono differenze di opinioni si puo condividere un’umanita soledaria per i nostri vicini. Ho seguito la folla entro il cimitero, e qui uno per uno sfilando di fronte alla famiglia del defunto per offrire una stretta di mano e scambi di abbracci, un messaggio di fratellanza. Per noi emigrati tutto questo non accade, certo c’e la famiglia e amici, ma il silenzio del posto e il suono delle campane non avvengono. Non siamo seppelliti vicino a generazioni dei nostri antenati ma disseminati in cimiteri stranieri con nomi ben diversi dal nostro. Alla morte di mio padre nel 1996 questo mi era presente, percio ho scritto questa poesia dedicata a lui. La prima riga l’ho rubata da Cesare Pavese:

Verra la morte e avra i tuoi occhi

dipinti di orizzonti verdi dei pascoli Marsicani

pettinati da leste tramontane

di colline ondose che coronano il Fucino

il silenzio nebbioso e di albe accese

di sentieri che conducono

a vigneti di memorie

 

Verra la morte e avra i tuopi occhi

d’emigrante spenti in una terra non nativa

ma fatta propria con sudore

di goie e dolori

 

Verra la morte e avra i tuoi occhi

fieri di primavere

 

Queste esperienze di un rapporto legato alla propria terra mi fanno pensare che forse e possibile che un buon futuro si possa avere in questi piccoli centri. Avevo visitato molti paesi durante il soggiorno, alcuni in declino ed altri in bene stato, e ho pensato che la maggior parte dei piani regolatori nel Nord America professano proprio questo tipo di vita. Il movimento ‘New Urbanism’ infatti propone di creare comunita compatte con molti spazi verdi e agricoltura sul posto. Questa visione, difficile da realizzare negli USA, gia esiste in Abruzzo. Certo c’e molto da migliorare e non voglio semplificare i grandi problemi di lavoro e benessere. Ma, nonostante tutto, una base esiste per creare un futuro migliore. Il grande ostacolo come nel resto del mondo e il credere a un’economia falsificata e in un modo di vita basato sullo sfruttamento del prossimo e del pianeta. Il fatto che questo sistema fantoccio sta crollando in tutte le parti del mondo deve essere interpretato come un messaggio positivo di cambiamento. Le oligarchie di corporazioni e banche stanno facendo del tutto per confondere i popoli su quello che in realta sta accadendo, infatti stanno per riedificare lo stesso sistema che ci ha portato a questo stato malato. Eventualmente anche queste bugie verranno a galla.

Oggi in questi piccoli centri si puo effettuare un cambiamento che rispetta i diritti di ogni creatura vivente. Si puo creare un sistema monetario piu umano. Le nuove techniche di communicazioni fan si che possiamo in maggior parte lavorare in modo decentralizzato; non servono piu i grandi uffici e nemmeno le grandi metropoli. La grande discussione in questo momento e come sfidare i problemi che verranno causato da una popolazione mondiale in grande crescita e il previsto stato di megalopoli troppo grandi da sostenere. Per molte generaioni c’e stato predicato l’importanza di una continua crescita economica; un’impresa destinata a fallire perche viviamo su un pianeta con risorse limitate. La cultura del potere e riuscita fino ad oggi a predicare quest’atteggiamento alle spese di popoli piu deboli. La distruzzione ecologica su tutti i fronti portera questo atteggiamento bellicoso ad una fine non soddisfaciente per l’umanita. Le condizioni non favorevoli per sostenere il consumerismo di oggi sono invece condizioni positive per effettuare un progresso verso piu uguallianza e benessere. Il fatto che l’Italia e uno dei paesi dove non c’e una grande crescita di popolazione e positivo dal punto di vista ecologico. La meta e di arrivare a un’equilibrio zero dove il pianeta e capace di sostenere la notra popolazione umana ma anche tutte le altre specie incluso i varianti ecosistemi. Certo tutto questo richiede la morte del presente sistema capitalistico che dovrebbe essere rimpiazzato con uno piu democratico.

Possiamo codurre un’esperimento, durante il mio soggiorno ho saputo che ci sono dei paesi in vendita come e successo a Santo Stefano di Sessiano. Pero invece di convertire il paese ad una destinazione turistica si puo invece creare un’area di sostenimento totale, cioe ecologico, economico e salutario. Avevo gia mensionato una possibile collaborazione con centri studi e ricerche di varie universita in un mio messaggio su facebook. I nuovi sistemi di produzione di energie alternative possono essere incorporati nel restauro architettonico, iniziare una produzione agricola organica e in bilancio ecologico del posto. Investire il capitale generato nel territorio e non in schemi internazionali dove il profitto resta nelle mani di sconosciuti agenti il cui solo scopo e di creare profitto per pochi alle spese di molti. Pensare ed agire per prima per il benessere del proprio ambiente e non in retoriche politiche degli usurpatori. Cioe una vita basata su veri valori non in mensonnie create da un mercato ombra che mette piu valore su uno schermo gigante televisivo che su una vita di un fanciullo. Ma per avere risulati positivi bisogna agire in modo espresso in quelle due occasioni di fratellanza descritte all’inizio di questo articolo.

Saturday, February 23, 2013

Encounters

I came across a poem I wrote in 1986 which was published in Vice Versa in 1989. Strange how my outlook on our social transactions have changed little since then. I thought I share it to fill the interlude between my usual posts.


Encounters

From the thorax down through the genitals
spreads a river of light against the somber flesh
changing chameleon-like blending
now and again into autumn woods
amidst spidery ferns
I extend my hand to
mould a touch onto your skin
my veins become woody and
produce leaves that turn forever to the sun

My thoughts concealed in cavernous temples
where our limbs contort to the
sculptured stone of breath deposits
where doors cancel other doors
and you a column supporting the entrance frame
to a primordial landscape of desire
in which the total extension of being
is held within one swoop of the arms

A sound transfixed in your eyes
a glance of longing warmth
I stretch my flesh to cover yours
and disappear into the framework
catching the last stream of light
penetrating the thick canopy
you extend your neck beyond the horizon
and integrate your body into landforms
I walk your footsteps gently
and caress your features unfolding in the night

You have arrived in my voice
as a falling star burning in the sky
your lips whisper blue
and I with scissored fingers
cut the words into ribbons
dissecting paths upon which
we have traveled so many times
around this earth with faces to the ground
eyes closed to free the mind
in search of relief
I device the unnameable you

A lifetime of walking has brought us to this
where the earth assimilates the sky
where light casts no shadows
and all things are lost in silence
deep in the fields nature breeds confident
the seed of a significant moment
we pass transient on our way to somewhere else
in the assumption of an alter ego
unaware we missed another occasion

Drinking from lifelines
the indiscretion of an ongoing pregnancy
is the equilibrium of parting friends
seeking an independent turning point
an organized geometry from here to there
a metaphor of intricate branching
gliding across the sky as acrobats
chasing spasms of the flesh
apologetic affiliations of mind and body
a reservoir of tears held
in the dew of a grassy field

The earth is afresh with your awakening touch
an immaculate moment has rushed through my spine
a forgotten song held in your palm
unclothes the chaos locked in my blood
and segregates the region of raw feelings
victims of an art that cannot take shape
architects of formless clarity

Aware of the silt of history
submerged in century of rain
where our fingers walk embraced
past skeletal shipwrecks
with renewed lust we
seduce each other breathless
victims of our muscles we
drill with frenzy deep into our skin
a flurry of things unrecognized
are maintained for a moment
in sympathetic murmurs
that fall silently back into the self
all thoughts compressed in an instant

Time skims the flesh
billions of seconds release us from their grip
we rebound in untranscendable passages
through enigmatic corridors
everything becomes an abstraction
relentlessly descending towards
a point in the horizon
a point where all reality converges and vanishes

Here at the ends of the earth
where groves of trees do not grow
and rivers no longer flow
the sky opens to the stars
a treacherous cold invades my body
all that I possess
is already lost without a sigh
I've hidden my heart in ancient walls to remain alone in your memory
here sleeps the air dispersed in monotones

My arm spread like wings
keep the rain from falling
on this surface where I write you a letter
concealed in the chambers of a seashell
whose words echo the sound of oceans
they are words from an ancient vineyard
found among the flowering grasses
before the closing of the sky
where protected our hearts slept green
a memory of naked flesh
a candid image of adolescence
upon which our tongues
invented spiraling fireworks
in search of signs that superseded life

And now you appear as the earth
fields, woods, water, desert
a remote country from which
I exiled hide lost asleep in your dreams
within the limits of darkness
our voice a song from walled wells
dug into our earthen eyes
that bury the sky deep


Our time has been of blood and fury
how easy it is to die still living
is it too late to love?
Forgive me if I don't remember your name
it is the hour of departure
of finite inertia
when every corner becomes transparent
in the hour of the last shout
a multitude of fingers reaching to touch others
there are no lives missing in eternity
to love someone of this earth
is to lose the apathy of meandering destruction

I follow the shadow of the upturned sky
the oceans can be heard all along this path
it is almost winter
and the birds form choirs
of vibrating clouds towards the horizon
I've formed other words for you
no elegies or flattery's
these words are made of junipers
of olives and ferns
and bulbs to plant in your garden

I step the way a raindrop spreads
in the filtered light that reveals your form
your skin has turned blue petrified
and overgrown with lichen
the earth has absorbed your form into its scheme

I sit by your side and wait
a restless stillness of perpetual rotation
a prisoner of non-time
bellowing shouts from within another
through visions of a non-experienced world
every molecule of air becomes a measuring unit
before the vacuum of inflicted silence
whose remains echo the beginning of time itself

The two worlds
that from which we came
and that to which we are going
negating each other in succession
the negative and positive
of a familiar photograph
slightly out of focus
inaccurate in its delineating details
a ghost image
of an unknown source of energy

Unaware of my form
being and not being
one last thought remains:
the perpetual possibility
of a metamorphosis.


Tuesday, February 19, 2013

la sfida per un’architettura malleabile.


Vivere tra i ruderi-2- la sfida per un’architettura malleabile.

In questi giorni ci sono state nuove scosse di terremoto negli Appennini Italici. Avevo appena finito di scrivere il mio blog del mio soggiorno nel mio paese di origine, Collarmele, situato nelle colline orientali della conca del Fucino. Queste occorrenze mi instigano a cointinuare il discorso nel tema di vivere tra i ruderi; non solo i luoghi della nostra memoria ma quelli reali. Questo tema infatti fu scaturito da una passeggiata in visita alla tomba di Ignazio Silone a Pescina. Di fatto camminare realmente su i ruderi del vecchio paese in gran parte distrutto dal grande terremoto del 1915, che mise a raso terra praticamente tutta la Marsica. E immagino probalbilmente che sepolto tra le macerie ci sono ancora osse di antenati non trovati. Vivere in un territorio periodicamente scosso e anche distrutto presenta una visione storica temporale diversa dal normale; di tappe di continuo rinnovo e di vite stroncate. E mi sono domandato se puo esistere un’architettura alquanto malleabile, resistente alle varie scosse ma anche piu adeguata all’esigenze ambientaliste del nostro tempo. Il mio amico Fabio mi aveva avvertito ad un consorzio nell’Aquila dove partecipavano noti architetti come Mario Botta. Ho incontrato Mario Botta di persona a Toronto molti anni fa per una sua presentazione della Cappella Santa Maria degli Angeli nel Ticino, Svizzera. Ero gia un ammiratore del suo Museo di Arte Moderna a San Francisco, California. L’ho intervistato all’Istituto Italiano di Cultura per la rivista multiculturale Vice Versa per cui ero contributore e piu tardi editore alla sede di Toronto. Mi e venuto in mente di tentare a partecipare nel consorzio con i miei concetti di un’architettura viva basato sul mio Bioshat® Design Process che sto sviluppando per la creazione di spartiacque verticali per centri urbani. Quando ho accesso il sito pero il contenuto era molto lontano da interventi alternativi, ancora ristretto a divisione di fondi e attendere a gravi bisogni immediati.

Un possibile modo di pensare alla creazione di un’architettura malleabile e nell’arte dell’origami. Gia e in gran parte sviluppata per costruire satelliti e navicelle spaziali e credo si puo adattare bene per costruzioni in zone sismiche. Immagino uno scheletro architettonico capace di sostenere le scosse fino a un determinato livello ma nel momento che la struttura non regge piu puo crollare in un modo previsto con uno spazio di rifugio protetto nell’interno. Questo si usa gia nella costruzione di veicoli lasciando che la struttura si acciacca al momento dell’impatto ma ritiene intatto lo spazio occupato dai viaggianti. Magari si puo anche arrivare a creare borse d’aria che si gonfiano ai punti strategici strutturali. Lo sviluppo di nuovi materiali sottili e flessibili e una tappa da raggiungere alquanto un sistema computerizzato che aiuta al momento del crollo. La grande svida resta in come sistemare i vari servizi come acqua, gas e elettricita. E questo mi porta al tema di un piano edilizio basato alla decentralizzazione di servizi che ho gia discusso nei blog precedenti (in lingua inglese). Le nuove alternative di produzione energetihe sul posto formano il tema centrale per tale modo di costruire. Avendo un modello decentralizzato permette un controllo molto piu ampio e piu facile da rimmediare in caso di eventi sismici.

Sunday, February 17, 2013

Vivere tra i ruderi


Vivere tra i ruderi

Ogni ritorno e un inizio, quando il presente si miscola con il passato. Un stuzzicante apperitivo di frantumi di memoria. Cosi nel mese di Settembre mi sono ritrovato di fronte alla mia casa nativa di Collarmele. Erano trascorsi quattordici anni dall’ultima visita. Il paese poco cambiato eccetto che in questo caso la casa era vuota, sparsa con pochi residui mobili, non accogliente come quando abitata da zia Maddalena. L’odore di cibo rimpiazzato con quello del cesso, claustrofobico nel buio cavernoso nascosto al sole. Non riuscivo a starci dentro, solo dopo alcuni giorni di finestre spalancate al vento sono rientrato nel presente vuoto. Non ero piu un’abitante del paese ma un visitatore, non proprio turista ma nemmeno piu del posto. Infatti la mia dimora per il soggiorno era a Pescina e i due paesi si mescolavano l’uno nell’altro. I racconti di Silone alquanto vivi come le proprie memorie. E nel paese di Mazzarino un ricordo di Parigi. Era l’anno 1975 e mi trovavo di fronte alla tomba di Mazarine all’Institut de France spiegando al  mio amico incredule, Rene, che il famoso cardinale in fatti era di origine Abbruzzese da un paese molto vicino al mio.

Lo scopo di questo viaggio era di conoscere meglio l’Abruzzo. Nel mio soggiorno da studente a Firenze ero molto piu preoccupato a visitare le grandi citta europee, Londra, Amsterdam, Parigi, Brussel, Vienna, Zurigo, Berlino, Monaco, e tante altre. Ero ghiotto di arte e fanatico di vedere i musei piu prestigiosi. Ma tutto questo mi ha lasciato un vuoto della propria regione. Due settimane di rapide escursioni troppo breve per un approfondito apprezzamento ma nell’insieme molto soddisfacente nel creare un’immagine ampia regionale. L’Abruzzo si e presentato un’insieme di antichi borghi sparsi in un verde roccioso e in gran parte selvatico. Molto diverso dalla Toscana, l’altra regione da me ben conosciuta, piu rustico e rozzo ma anche piu genuino, non inquinato dal turismo mondiale. L’unico rammarico e di non avere avuto tempo per visitare tanti paesi nella mia lista. Mia moglie Susanna ed io abbiamo con rancore deciso di non visitare L’Aquila, preferendo di mantenere le memorie di una citta sana non distrutta dal terremoto, era uno dei posti piu favorito da noi due.

L’ultima settimana del soggiorno ho cercato di recuperare la mia identita di Collarmelese. Quest’impresa non riuscita bene creando un misto di emozioni. Ho trovato un paese in declino, politicamente diviso e in gran parte vuoto. Ho trascorso le giornate in compagnia di pochi amici e tanta nostalgia. In parte deluso che il mio lavoro del 1998 che proponeva al paese un piano di recupero ambientale non e stato preso in considerazione ma di piu nel vedere lo stupro di terreno per fare posto a impianti fotovoltaici. Tutto questo poteva essere stato svolto in un modo migliore e molto piu democratico rispettando ogni cittadino. Invece e stato effettuato in un modo dove pochi hanno guadagnato molto, senza un vero resoconto di azione ambientalistica; non solo nel mio paese ma un programma sparso per tutto il Fucino. I fertili terreni sotto attacco da uno sviluppo immobiliare cieco alle necessita ambientaliste del nostro tempo. Era ovvio che il vero discorso ecologico era caduto solo nel discorso di produzione energetica. Tutti gli altri fattori ambientali gettati via. Mi domando se questo e un caso di mancanza di culturazione verso l’ambiente o un risultato di un mercato spietato che continua la marcia distruttiva mentre recitando una falsa retorica del verde.

A parte queste delusioni, l’identita che ho cercato in vano per le strade del paese l’ho trovata nei sentieri antenati – nomadi percorsi montani dove ossee rocce formano lo scheletro terrestre. Dove nelle loro tasche arsite, scolpite dal vento e pioggie stagionali, si rifugiano minuscoli giardini incantevoli. Un’arrangiamento ecologico evoluto nella scia di mattanze millenarie, rasate da musi greggi e qualche mano umana.

Fiori di croco, menta, saponaria, silene, delfinum, sedum, stenbergia, salvia, di minuscule felce, cuscini di muschio, ondate monti di colorite lichene e spinosi gruppi di cardi fra tanta altra flora. Il volo erratico di farfalle e falene, corse a scatto di lucertole, salti di grilli e qualche furtiva mantide appesa tra le erbe autunnali. Rucelle, pignoli, visce alcuni dei funghi commestibili fin’ora scampati dagli occhi radar che perquisiscono queste colline. Viste in panorama presentano un manto unico quasi monotono, eppure la sottile variante vita accoglie il mio sguardo, le mie domande, i miei ricordi. Questa e la mia terra dove la mia anima si stende in riposo. Mi piacerebbe fare un album botanico che include tutte le stagioni, recintare un’area per scoprire cosa crescera se protetta dal pascolare. Nel 1998 Susanna e io abbiamo trovato solo una stenbergia dove questa volta c’erano piu di una dozzina, forse segno di un’alleggerire dei greggi in questa zona. Magari piantare quercie e faggi nel mezzo dei coniferi per iniziare un bosco piu variante. Bilanciare le piantagioni di noci e tartufaie regimentate a diritte file a modello agroforestale con delle zone di vera restaurazione ecologica. Ma tutto questo e solo un’espressione di desideri, come nella canzone di Domenico Modugno, “la lontananza e come il vento” che fa dimenticare quello che a un momento della nostra vita si ama. Quello che ci rimane sono i ruderi della nostra memoria e se siamo fortunati possiamo ogni tanto rivisitare i nostri passi,passaggi.

Thursday, February 7, 2013

Life at the Edge of a Precipice


Life at the Edge of a Precipice

 The Wild Things conference was a big hit, more than 1,000 attendees convened at the University of Illinois in Chicago. Most were stewards and restoration workday volunteers that form a cohesive group of citizen scientists whose help is priceless in keeping the restoration of our forest preserve sites going. The presentations were great and there was a sense of accomplishment and earned pride. So why was I so depressed? One of the keynote speakers Doug Tallamy, professor of Entomology and Wildlife Ecology at the University of Delaware, spoke on the need to convert our private yards into ecological habitats. He had great slides illustrating the value of insects and their crucial role within the web of life focusing on the symbiotic relations that exist between insect species and plants, a theme familiar to all present. This is what I found depressing that after decades of similar talks and aspirations we are still asking for minimal commitment of this type. I gave a similar talk at the Chicago Center for Green Technology more than a decade back and before that had generated a plan for the Village of Schaumburg to create habitat corridors that connected the forest preserves to each other and before that helped carry out a project in Toronto in 1996 and 1997 to convert a neighborhood into a connected habitat landscape and before that in the 1980’s had participated in this debate and admired an experimental native prairie backyard in Kitchener, Ontario at the home of a University of Waterloo professor. So almost thirty years later here we were hearing basically the same rhetoric on the importance of creating habitat links. Other talks I attended had some positive news but still fraught with obstacles, one talk in particular by a neighborhood organization that in my mind was unduly optimistic, they had a 50,000 dollar budget for the year which would not make a dent in their goals. If this is the pace of progress then we are in serious trouble. So why was everyone smiling and patting each other on the back? I guess it is the knowledge that at least each one of us was contributing to the solution rather than the problem no matter how small a contribution that would seem.

Although the volunteer group of people were represented there was a noticeable lack of professional representation, when the keynote speaker asked those of us involved in landscape design to raise their hands only a few went up and I imagine if he had asked how many engineers were present even fewer hands would be shown and fewer still of any political or legal profession representatives. These conferences tend to draw from one’s own choir avoiding any real chance of debate. Perhaps a plan would be to specifically invite politicians and professionals to attend and create purposeful debates. Slapping each other on the back for work well done in the face of the amount of ecological collapse around us may give energy and impetus to carry on but does little else. This of course works in all other conference procedures; it forms the brick and mortar of a culture of professional silos. It is what drives turf wars among the professions and creates tiered value systems on the value of each one. For example, most politicians derive from the legal and banking practices because government is seen mostly in light of economics and a system of laws. What if government representation would require an equitable professional distribution that includes engineers, doctors, artists, ecologists etc., could we imagine different governance? Even further, can we adopt a system where appointment is made to represent future generations such as the seventh generation concept in some Native American cultures?  

I am reminded of another popular and well attended conference at the University of Guelph, my alma mater. The keynote speaker was John Kenneth Galbraith one of the most respected economists of his time and prolific author on economics. The United Nations Bruntland Report (1987) had just come out and there was a euphoric atmosphere in the belief that we had crossed a major milestone regarding environmental awareness. Galbraith gave his talk on the role of ethics in economy and governance and warned that vigilance on ethical behavior should not be taken lightly. How true that message resounds after the economic collapse of 2008. Leopold wrote on a land ethic, Galbraith spoke of an economic ethic and we are now faced with political unethical behavior in having money decide what our policies should be. Are we capable of achieving a moral fortitude of ethical proportion to outweigh the current system of short term monetary values?  One talk I attended at the Wild Things conference was given by Donald Hey promoting his Nutrient Farming program. He concluded with a statement “economics controls the environment therefore economics can cure the environment”. I have great respect for Mr. Hey; he is one of the bright spots in the local engineering profession and has had positive influence on the practice of wetland mitigation and restoration. Even so I found his statement troubling not only because it is based on current practice truth but because it reaffirms the status quo. Money does influence the environment and without the ethical vigilance referred to by Galbraith it will keep destroying it. What if the statement was turned on its head? The environment controls the economy therefore a healthy environment can cure the economy; this to me sounds more true. The increasing destructive natural forces have demonstrated the large amount of investment needed to repair damages that play havoc on local economies and have been reflected on the money market.

 For those of us that have a vision for something different we are trapped in a system that rewards those that fit into current modes of thought and production, it is much easier to make a living doing what is expected than to find alternatives. This is a dilemma that haunts those that dedicate their time and effort in exploration without compromise. We walk on the edge of a precipice immersed in fog  not knowing if our next step will be on solid ground.